Sono un’insegnante precaria, laureata in lingue e letterature straniere e con una formazione steineriana post laurea che per le graduatorie statali non viene riconosciuta a livello di punteggio.

Mi hanno dato un incarico annuale di sostegno di 10 ore in una scuola media in Friuli-Venezia Giulia. Giovedì mattina, uscita un attimo dalla classe, sono stata fermata e non potendo esibire il green pass con tampone rapido – ma avendo comunque fatto un tampone sierologico presso una struttura privata a 45 euro, non esibibile per un problema di password errata generata dal sistema stesso – sono stata accompagnata alla porta. Il giorno dopo sono stata chiamata per precisare che la giornata, comprese le ore già svolte, si sarebbe dovuta recuperare non appena in possesso di un nuovo tampone rapido.

Ho comunicato che la farmacia mi aveva fissato un appuntamento non prima di martedì, così mi hanno ricordato che se non fossi entrata entro quella data sarebbe scattata la sanzione amministrativa e pecuniaria. Per tale motivo mi hanno impedito di firmare il registro elettronico.

Penso che tutte le informazioni elencate possano essere sufficienti per farvi immaginare lo stato di sconforto in cui mi trovo. Mio marito, che ancora non si trova nella stessa mia condizione, mi consiglia di andare avanti con i tamponi nasali, ma è una condizione discriminante assurda, oltre che difficile da sostenere soprattutto dal punto di vista emotivo: non c’è alcuna corsia preferenziale per la nostra categoria presso le farmacie, perciò passo le giornate a cercare farmacie disposte ad accogliere la mia prenotazione anziché concentrarmi su ciò che potrei fare con lo studente che mi è stato affidato a scuola.

Il clima al lavoro è insostenibile perché l’aspetto umano si è di colpo annichilito: la tensione è palpabile in tutti. Ho spiegato che per lo stesso problema della prenotazione dei tamponi sono costretta ad accorpare le mie giornate, ma ho ricevuto dai colleghi un sonoro “l’orario non è equamente ripartito perché con i ragazzi si lavora meglio a inizio settimana che a fine e le ore di italiano non sono tutte coperte per poter fornire un supporto adeguato in classe”.

Beh, la  scuola è iniziata da una settimana e io sono già stanca: stanca di essere considerata un elemento contaminante, quando durante la settimana di programmazione bidelli e alcuni insegnanti giravano tranquillamente nel plesso senza mascherina; stanca di essere individuata come quella da bloccare all’entrata perché diversa, stanca di non contare davvero più nulla, stanca di dovermi giustificare, stanca di passare letteralmente ore al telefono per risolvere la mia collocazione.

Ho fatto davvero tante esperienze diverse nella mia vita, alcune molto gratificanti, altre meno. Ho lasciato un posto sicuro a tempo indeterminato nell’industria perché sentivo arrivato il momento di lasciare piccoli semi in persone che un domani avressero occupato un posto nella società civile, ma di civile in tutto questo non vedo davvero nulla.

La scuola statale è diventata un posto arido dove poter parcheggiare i figli, delegare e lamentarsi, un posto dove non ci si guarda più negli occhi, ma si controllano Qr code e scartoffie, dove tutti sono sommersi da tutto…  

Spero di riappropriarmi presto della mia dignità e del valore che la mia missione di docente comporta, se svolta con passione.  

Una docente ferita