Pubblichiamo la lettera aperta inviata al Rettore dell’Università degli Studi di Pavia da parte del movimento Studenti dell’Università degli Studi di Pavia contro il green pass, firmata da 60 studenti e altrettanti cittadini – fra cui genitori non iscritti a tale università – per un totale di 120 firme iniziali.

Alla cortese attenzione del Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Pavia,

Prof. Francesco Svelto

p.c.

All’attenzione di tutti gli Organi Collegiali

Vi scriviamo in rappresentanza di un nutrito gruppo di studenti organizzatosi spontaneamente in seguito all’infausta estensione dell’obbligatorietà della certificazione verde anche per studenti universitari, Docenti e Personale Ata, decretata dal DL 06/08/2021 n.111.

Considerato che lo strumento della certificazione verde, come applicato nel suddetto decreto legge, risulta in contrasto con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, discussa a Nizza il 7 dicembre 2000, divenuta vincolante per gli stati membri dell’Unione Europea con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, del dicembre 2009 la quale espressamente prevede all’art. 1 che “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”, e all’art. 3 che “Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”; considerato altresì che agli articoli sopracitati fa eco l’art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, approvata dal Consiglio d’Europa il 4/4/1997 ad Oviedo, il quale sancisce il principio del consenso personale libero e informato ai trattamenti sanitari, legittimamente ci si chiede, come può il consenso essere libero se è dettato da un forte ricatto politico e da una marcata pressione sociale?

Desideriamo inoltre citare il Reg. (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce, al considerando 36, che È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti COVID-19 è attualmente somministrato o consentito o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. […] Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati.”

Pertanto, ci appare quanto mai curioso che tale certificato, non utilizzabile secondo il sopracitato Regolamento per discriminare le persone nei servizi di trasporto transfrontalieri, possa diventare invece una condizione necessaria per accedere a servizi (come le Università, nel nostro caso, ma anche scuole, esercizi commerciali, ecc.) interni al nostro Paese, palesandosi come un ricatto e un malcelato obbligo indiretto, contrastando per altro con lo stesso art. 32 della Costituzione Italiana e finanche con l’art. 2 e 3 della Carta.

Il principio di prevalenza delle norme europee su quelle nazionali, ricordato nell’art. 9 del DL 52/2021, il quale introduce il “green pass” e prevede espressamente l’applicabilità delle norme italiane solo se compatibili con il Regolamento UE 953/2021, suggerisce un maggior peso della risoluzione n. 2361 del Consiglio d’Europa datata 27/01/2021, la quale rende noto che: “L’assemblea invita gli stati membri e l’Unione Europea ad assicurare “che i cittadini siano informati che la vaccinazione nonobbligatoria e che nessuno può essere sottoposto ad una pressione politica, sociale o di altro genere affinché si vaccini se non desidera di farlo; che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato a causa di possibili pericoli per la salute o perché non vuole farsi vaccinare.

Rammentiamo altresì che la discriminazione è vietata dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dall’art. 14 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), dall’art. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 3 della Costituzione Italiana.

Sul punto si è ampiamente espressa la stessa Corte Costituzionale.

Ci riferiamo in particolare alla sentenza n. 37/1990 della Corte la quale sancisce il principio secondo il quale il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria (intendendosi ovviamente una misura imposta)”, e dalla sentenza n. 5/2018 della Corte Costituzionale che stabilisce che Il diritto dell’individuo alla salute non può considerarsi in ogni caso cedevole nei confronti del dovere dello Stato e dei provvedimenti adottati a tutela dell’interesse della collettività ne potrebbe ritenersi che qualsiasi trattamento coattivo sia giustificato solo perché esso consente migliori contributi dell’individuo al benessere sociale.”.

Il diritto alla salute avrebbe carattere primario e assoluto e il principio costituzionale del rispetto della persona umana, in collegamento con l’articolo 2 della Costituzione, pone in primo piano il problema del consenso.
Pare evidente che
l’adozione di una misura compressiva della libertà dei cittadini quand’anche con l’intento di salvaguardare l’interesse della collettività, non sarebbe comunque configurabile nel termini imposti dall’attuale sistema.

Oltre alla questione prettamente giuridica, intendiamo sollevarne anche una medico-scientifica, in funzione della quale molte persone scelgono di non avvalersi della vaccinazione.
È evidente che il mondo scientifico non sia unanime e concorde sull’effettiva efficacia del farmaco, ma soprattutto sul rapporto rischio-beneficio dello stesso, sul quale attualmente non vi sono sufficienti studi e/o sperimentazioni, in grado di chiarire questo rapporto.

Si consideri ad esempio l’articolo Safety and Efficacy of the BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine” di Polack et al., pubblicato sul New England Journal of Medicine in data 31/12/2020. In particolare, in questo studio, si rilevano numerosi errori metodologici:

  1. Lo studio è in cieco solo per chi osservava le reazioni a brevissimo termine (≤ 30 min)

  2. Le siringhe di somministrazione tra il farmaco e il placebo erano distinguibili (era facile chiedere al paziente se la siringa fosse bianca o blu, un bias importantissimo, tratto dai dati

    presenti negli allegati all’articolo)

  3. I due staff di analisi non erano in cieco (uno staff era dello sponsor, dat. All.)

  4. I protocolli del disegno di studio sono stati emendati più volte, di cui due dopo la data di cut-off dei dati (emendamento n.8 15/10; emendamento n.9 29/10)

  5. La reattogenicità è stata studiata solo sul 21% dei partecipanti, con distorsione dei risultati

  6. 20 autori su 29 sono dipendenti Pfizer e ulteriori autori ricevono finanziamenti privati, che configurano potenziale conflitto d’interessi

  7. Lo studio di efficacia è stato eseguito nei mesi di agosto e settembre 2020, prima della cosiddetta seconda ondata.

  8. Lo studio afferma che la mediana dei follow-up è di due mesi. Tuttavia, il tempo trascorso tra il reclutamento dei partecipanti e la data di cut-off dei dati appare non compatibile

  9. L’analisi sulla sicurezza non è statistica ma soltanto descrittiva

In conclusione, lo studio non si configura metodologicamente come un double-blinded study ma poco più di un observer-blinded study. Inoltre, nell’articolo è riportata la seguente affermazione: These data do not address whether vaccination prevents asymptomatic infection” (“Questi dati non permettono di valutare la prevenzione dell’infezione asintomatica”), affermazione in netta contraddizione con le prerogative della certificazione verde e l’obbligatorietà di quest’ultima per poter fruire del proprio Diritto allo Studio.

Per quanto riguarda gli effetti a medio-lungo termine causati dalla vaccinazione, come riportato al punto 10 della nota informativa riguardo il consenso informato (vedi circolare della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute del 24 dicembre 2020, prot. 0042164), Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza. Inoltre, nell’Allegato I della summenzionata circolare ministeriale, si afferma che Non sono stati condotti studi di genotossicità o sul potenziale cancerogeno.

All’interno della comunità scientifica, i dubbi riguardanti possibili aspetti patologici legati al “Antibodies-Dependent-Enhancement”, descritto in numerosi studi (citiamo a mero esempio lo studio di Lee et al. Antibody-Dependent-Enhancement and SARS-CoV-2 vaccines and therapies”, Nat Microbiol 5, 1185-1191 (2020), ma ne sono presenti molti altri in letteratura), sono stati solo parzialmente fugati, come si vede dallo studio di Polack et al., eseguito prima dell’insorgere delle varianti virali. Non sono stati in minima misura fugati i dubbi riguardanti l’insorgenza di malattie infiammatorie sistemiche e/o autoimmuni, nonché gli aspetti legati al rischio di danni da malattie simil-prioniche (vedi Classen JB. COVID-19 RNA based vaccines and the risk of prion disease.”, Microbiol Infect Dis. 2021; 5(1): 1-3; King OD et al. The tip of the iceberg: RNA-binding proteins with prion-like domains in neurodegenerative disease.”, Brain Res. 2012 June 26; 1462: 61-80), dovute alla particolare stabilità della conformazione della proteina Spike vaccinale, mancante del sito di clivaggio della furina. Quest’ultimo è stato individuato, da quanto traspare dall’articolo How the coronavirus infects our cells” di Megan Scudellari, pubblicato su Nature il 29/07/2021, come chiave della maggior infettività di diverse varianti del virus. L’assenza di tale elemento rende l’antigene S vaccinale una proteina “superstabile” e predispone la sua interazione con le cellule umane come un prione. Questi dubbi sono a tutt’oggi sollevati in virtù del riconoscimento, tra gli eventi avversi dovuti alla vaccinazione, di glomerulonefrite o infiammazione renale, e infiammazione nefrosica, patologie che suggeriscono un’alterazione della proteostasi nel paziente.

Inoltre teniamo a precisare che una persona vaccinata non è automaticamente immunizzata: per accertare l’effettiva immunizzazione, infatti, è necessario effettuare sul soggetto vaccinato un test anticorpale, per verificare l’avvenuta produzione di anticorpi neutralizzanti da parte del sistema immunitario, quindi l’accesso alle persone vaccinate mediante l’esibizione del green pass, senza aver verificato l’effettiva immunizzazione, potrebbe innescare comunque focolai Covid, come già successo (esemplificativi sono i casi, riportati dalla stampa, delle navi militari, con personale vaccinato, HMS Queen Elizabeth e Amerigo Vespucci).

Inoltre, recenti studi dimostrano che la protezione rispetto all’infezione da Sars-Cov-2 e sue varianti decade nel tempo, come riportato nell’articolo “Elapsed time since BNT162b2 vaccine and risk of SARSCoV-2 infection in a large cohort” di Israel et al., evidenza sperimentale confermata dalla situazione epidemiologico-sanitaria di paesi stranieri come Regno Unito e Israele, che malgrado l’ampia copertura raggiunta dalla loro campagna vaccinale, stanno osservando un aumento di casi fra persone vaccinate.

Alla luce delle considerazioni scientifiche poc’anzi svolte, corre l’obbligo, ancora una volta di svolgere alcune osservazioni dal punto di vista giuridico.
In particolare ci si riferisce alla sentenza della Corte Costituzionale n 258/1994 la quale stabilendo i presupposti imprescindibili affinché una legge impositiva di un trattamento sanitario sia compatibile con l’art. 32 della Costituzione
, di fatto ne sancisce anche i limiti per l’incompatibilità della stessa. Dalla lettura della sentenza citata emerge con chiarezza che affinché un trattamento sanitario possa essere reso obbligatorio devono sussistere 3 condizioni ovvero: che il vaccino migliori la salute dell’inoculato ma anche e soprattutto quella degli altri; che sia previsto che non influisca negativamente sulla salute dell’inoculato salvo per effetti di scarsa entità e comunque temporanei ed infine che sia prevista una equa indennità nel caso di conseguenze e danni per il soggetto inoculato cosi come previsto dalla L. 210/92.

Sulla obbligatorietà celata (stante la natura ricattatoria del trattamento sanitario in questione) a noi pare che non vi siano dubbi.
Così come appare di tutta evidenza che la normativa relativa ai vaccini in oggetto (nonché quella relativa alla sua esplicazione ricattatoria relativa al Green Pass), non rispetti i principi espressi dalla Corte Costituzionale sopra elencati.

Alla luce di quanto esposto sopra, riteniamo, in base anche ai suddetti dettami costituzionali, che nessun obbligo vaccinale con detti farmaci possa essere imposto, né direttamente né indirettamente per tramite di altri mezzi che possono raggiungere detto scopo.

In questo contesto trovano anche spazio tutte quelle incongruenze che non rendono conto delle specificità di salute individuale e che paiono cozzare, in ambito accademico, con i principi di tutela e garanzia del Diritto allo Studio (Art.1, Comma 181, punto f, Legge 107/2015). In codesto documento il Ministero definisce i livelli essenziali delle prestazioni, ossia i servizi alla persona. Il rilascio di tale certificato non è infatti in grado di prevedere casistiche adeguate per temi così intimamente legati alle condizioni specifiche della persona, due su tutti: la storia di salute individuale e la risposta specifica del sistema immunitario di ciascun individuo.

Noi di “Studenti contro il Green Pass” ci teniamo a ribadire in primo luogo che ci poniamo contro ogni discriminazione verso gli studenti per qualsivoglia motivo che sia di razza, religione, convinzioni politiche, sesso, tantomeno per le terapie farmacologiche ai quali i singoli decidono o meno di sottoporsi.

Discriminare l’accesso agli ambienti dell’Università in base al possesso o meno di un pass è una inaudita divisione degli studenti in studenti di Serie A e studenti di Serie B, anche sotto il profilo economico, stante la circostanza che gli studenti che non sono in possesso del green pass vaccinale dovrebbero (per accedere alle attività universitarie) munirsi di certificazione di tampone negativo ogni 48 ore, con costi a totale carico degli stessi.

Inoltre ai primi è concesso, in un regime di libertà condizionata, di accedere alle lezioni, agli esami, di partecipare ai tirocini obbligatori e ai vari servizi dell’Università, mentre ai secondi no, a parità di tasse pagate.
Così come configurata la normativa si presenta come un palese, incomprensibile, insensato, volontario atto di scoraggiamento verso lo studio, il perseguimento degli obiettivi accademici e la partecipazione alla vita universitaria.

Il pensiero che questa e altre misure impediscano a qualunque studente che voglia partecipare a una lezione o a un esame di entrare in aula dovrebbe far rabbrividire chiunque.

L’ottenimento del pass è esso stesso carico di una varietà di conseguenze negative e inammissibili. Il pass è infatti rilasciato:

  1. a certificata guarigione da COVID-19, il che esclude le centinaia di migliaia di studenti guariti ma che non hanno mai ricevuto una diagnosi, spronandoli ad effettuare una terapia superflua per vedersi concesso il proprio diritto allo studio.

  2. All’ottenimento di un tampone negativo, costringendo gli studenti a subire virtualmente ogni due giorni un test diagnostico invasivo e costoso. Questa metodologia è particolarmente maligna, poiché non tiene conto dello status socio-economico di provenienza della persona.

  3. Dopo l’avvenuta prima dose di un qualsivoglia vaccino COVID-19 approvato in via condizionata da EMA, con validità fino al 21/12/2021, che è ovviamente il modo in cui la maggior parte delle persone otterrebbero il pass.

Certamente palese è il carattere ricattatorio di questa misura. L’unica volontà è quella di vaccinare il più possibile senza nessun riguardo per le scelte personali, attraverso quello che per ora si pone come un obbligo indiretto.
Che le istituzioni universitarie, avallando e attuando le disposizioni del governo, collaborino con questo ricatto è per noi inaccettabile, inammissibile, inconcepibile.

La possibilità che l’Università offre agli studenti non muniti di pass di proseguire, (in alcuni casi non completamente), la propria carriera accademica, tramite una serie di misure come ad esempio la DAD, è per noi insufficiente e, a dirla tutta, umiliante.
Riterremo le nostre ragioni ascoltate unicamente quando nella nostra Università gli studenti saranno non solo trattati allo stesso modo ma anche non intralciati nel loro Diritto di studiare e formarsi. Questa misura ha, inoltre, spiacevoli conseguenze: alcuni studenti, avendo effettuato la scelta di sottoporsi alla vaccinazione, sentendosi forti e spalleggiati dalle stesse istituzioni, hanno già cominciato a schernire e sminuire gli studenti che anche solo criticano queste misure, attribuendo loro categorie che non andremo a ripetere. Non possiamo escludere che, nel semestre entrante, questi episodi per ora isolati non vadano ad aumentare in numero ed intensità, fino a sfociare nella violenza. Siamo costretti a ritenere che ogni atto di discriminazione verso uno studente che avvenga a causa di questa e altre misure, in assenza di dirette comunicazioni che condannino simili atti e le misure stesse, sia avallato dalle istituzioni universitarie.

Il risvolto sociale sulla salute mentale dei nostri colleghi è palese ed evidente: ci giungono ogni giorno testimonianze dirette di studenti che si sentono (e sono) a tutti gli effetti braccati e discriminati, non solo attraverso dinamiche sociali patologiche, ma anche dalle istituzioni Universitarie stesse, le quali sono arrivate ad impedire loro di completare il percorso di studi se prima essi non si fossero sottoposti a determinate ed arbitrarie terapie farmacologiche, negando loro qualunque principio di libera scelta e di auto-determinazione.

Numerose le testimonianze dirette di ragazzi, i quali nonostante siano desiderosi di cominciare la loro carriera universitaria nella nostra Università, devono vivere nell’incertezza di regole sempre più stringenti, che li trattano come untorie pericoli pubblici, per l’unico crimine di aver fatto una scelta in tema di salute diversa dalla maggioranza dei loro concittadini, la quale è tutelata a norma di legge e fondata dal punto di vista scientifico.

Se riconosciamo nell’Università un ruolo che sia ancora di stimolo migliorativo di carattere culturale e sociale per la realtà in cui è inserita – e non di mera riproduzione tecnica dei saperi o valorizzazione economica degli stessi – ci chiediamo: dov’è il legittimo dibattito democratico e realmente scientifico concernente la strada da percorrere per tutelare la propria comunità, interamente, senza frammentazioni ulteriori, nel momento in cui le misure che vengono attuate non sono di per sé strumenti sanitari, quanto piuttosto di sostanza politica?

Sul piano della democrazia non possiamo che rilevare come si stia intraprendendo, a livello sia nazionale che accademico, una china pericolosa, ove il principio di autorevolezza viene costantemente sostituito dal principio di autorità, in veste di un volgare “ipse dixit” contro cui il metodo del nostro Galileo Galilei fu concepito. Se dall’alto le decisioni più stringenti vengono prese tramite Decretazione di Emergenza, senza previa discussione parlamentare, all’interno dell’Università la discussione viene sterilizzata sospendendo la possibilità di fruire degli spazi di Ateneo per confrontarsi in assemblee, relegando quindi la discussione solo al livello istituzionale rappresentativo, senza la garanzia di un confronto plurale con i “beneficiari” di tali prescrizioni.

Tale principio di autorità si scontra poi anche con quello che dovrebbe essere il rigore scientifico e giuridico nell’adottare misure che vogliono avere uno scopo sanitario.
L’onere della prova, risalente al diritto romano – fondamentale in diritto processuale e di conseguenza di vitale importanza in uno stato di diritto – supera i confini della giurisprudenza ed è intuitivamente valido in diversi casi: è l’accusa che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato; è il venditore che deve convincere dell’affare l’acquirente; e nel nostro caso, è chi propone una legge che deve provarne con rigore l’efficacia supposta (e questo prima della sua applicazione) e non a chi la subisce dover dimostrare la sua inefficacia.

Assistiamo ormai da quasi due anni all’adozione di misure che hanno ribaltato questo principio: non si è certi della loro efficacia, non si è certi di cosa comporteranno collateralmente, ma si applicano lo stesso nella speranza che siano risolutive. La certificazione verde è l’ultima di tali misure ed anche questa volta non si ha alcuna evidenza che possa portare ad un miglioramento della situazione, se non forse ad un suo peggioramento. Dovessimo anche trovarci – per ragioni che vanno chiarite – in presenza di un’inversione dell’onere della prova e quindi spettasse ai “convenuti” dover fornire la prova contraria, unanalisi costi-benefici sarebbe un dovuto esercizio minimo di buon senso e democrazia, ma questa non sembra essere la strada intrapresa da chi avrebbe il potere ed il dovere di farlo.

Anche fossimo arrivati alla fine della emergenza epidemiologica e anche ci fossimo arrivati utilizzando il green pass, quale sarebbe stato il prezzo pagato in esclusione sociale? Chi sono le persone che abbiamo scelto di lasciare indietro? Quanto abbiamo collaborato ad una frammentazione e ad un disgregamento di comunità?

Vi chiediamo quindi di assumere una ferma posizione di rifiuto di tale misura, garantire il libero accesso all’Università e mantenere strumenti preventivi, come per esempio l’autocertificazione e la didattica a distanza.
Qualora il direttivo universitario non dovesse prendere posizione contro questa discriminazione a norma di legge, continueremo ad organizzarci e metteremo in pratica azioni per fare sì che uno scempio di tali dimensioni non diventi realtà e individualmente o collettivamente ci riserviamo sin
d’ora le azioni legali che dovessero rendersi necessarie e fondate a tutela dei nostri diritti fondamentali tra i quali in primis quello alla salute, allo studio e alla dignità di esseri umani.

Fiduciosi nella Vostra considerazione e saggezza, nel pieno rispetto della Vostra posizione istituzionale e disponibili a un confronto,

Gli Studenti dell’Università degli Studi di Pavia Contro il Green Pass