Domani mi alzerò presto. Mi farò una doccia calda, ma non troppo. Mi vestirò elegante, sceglierò il vestito migliore che possa comunicare uno stato di benessere.

Poi uscirò di casa. Il solito tragitto per andare a scuola. Un po’ di traffico (poi neanche tanto, viste le entrate scaglionate dei ragazzi). Ed ecco che sarò lì, in quel posto che conosco come le mie tasche.

La scuola, il luogo che mi ha tenuto sin d’ora pieno di energia e ricco di emozioni. Entrerò in classe e saluterò i ragazzi, con il sorriso di sempre, con l’emozione di sempre.

Perché essere in quelle quattro mura è come stare in un mondo intero. Lì dentro c’è tutto. Un’esperienza di vita continua. Dolori e piaceri che si mescolano, come la vita vera appunto.

Poi farò l’appello, veloce senza troppo riguardo. Accenderò la lim e cercherò dei dipinti. Spiegherò loro che un paesaggio non è solo una campagna alberata, una natura morta non è un semplice cesto di frutta, un volto non è una faccia e così via. In tutte quelle immagini sopravvivono elementi caratteristici e zone d’ombra. Sono documenti di tensioni spirituali di una cultura, espressione dunque di ciò che essa è in un determinato momento. Dirò loro (sono grandi ormai e capiscono il mio linguaggio) che le immagini non sono utilizzate in quanto opere d’arte. Almeno in questo contesto, almeno per me ora. Non è la loro artisticità che ci interessa, ma il modo immediato di “dire il mondo” in cui si condensa la memoria degli eventi. Potremmo allora parlare di un contesto che esalta la componente antropologica dell’immagine? Sì, potrò dilungarmi. L’immagine che deriva da esperienze che una società ha provato nel corso della sua esistenza.

E allora sarò pronto ad affermare che ciò che stiamo vivendo non è ciò che la sacra immagine della televisione ci racconta ma qualcosa di più. Tutto ciò che ci circonda nasconde stratificazioni di saperi, di senso, di bene e di male e che io sono con loro per scoprire e analizzare tutto questo. Altro che complotto! L’arte ci aiuta a capire che oltre a ciò, oltre a ciò che vedo, c’è dell’altro. C’è un mondo nascosto.

La campanella suonerà ed io uscirò salutando i ragazzi, forse per l’ultima volta, forse li rivedrò ancora per qualche altro giorno. Chissà! E se accadrà sarò io stesso l’immagine di una storia scritta col sangue. Il sangue pulito che scorre nelle vene di un essere umano.

A quel punto sarò tutti noi assieme. Non più un prof di arte, ma tutti noi che continuano a credere che la scuola è un mondo fatto di vibrazioni ripetute, ininterrotte. Dirò loro che presto perderanno un pezzo del cammino. Sì! Non ho più nulla da perdere ormai, anzi. Ho acquistato il coraggio di esprimere loro che si può cambiare, si può costruire un mondo in cui la libertà non ha uno slogan, una bandiera, una direzione, un genere. Che vivere è la cosa più bella che esista. Sì, è la cosa più bella. E l’arte è la seconda.