1. Il virus esiste, ma non è quello che viene cercato con i tamponi, perché ad oggi – 3 novembre 2020 – nessun laboratorio al mondo può affermare di averlo isolato. Il virus può essere particolarmente dannoso o letale in certi soggetti, anche giovani, se la patologia non viene curata fin dall’inizio.
  2. Ad ogni infezione il virus si é ricombinato con DNA umano, dando vita a più di 400 forme ricombinanti meno aggressive che si stanno adattando all’uomo (omoplasia), più o meno come una normale influenza.
  3. Le cure ci sono e i farmaci adatti esistono. Anche se l’AIFA ne ostacola alcuni, molti medici continuano a prescriverli a loro rischio, salvando moltissime vite ed evitando, nei casi più lievi, le ospedalizzazioni.
  4. Il virus diventerà, a brevissimo, uno dei milioni con i quali conviviamo e conviveremo per decenni, forse per secoli. Cercare il suo RNA in un individuo sano per dichiararlo malato é un gioco da ragazzi: chiunque potrebbe avere incontrato il virus, ma ciò non significa che ne sia infetto.
  5. Da milioni di anni esistono migliaia di coronavirus che ci portiamo appresso da molteplici generazioni – e che a molteplici generazioni trasmetteremo a nostra volta – attraverso pezzi del loro DNA, detti “trasposoni”, che in fase di trascrizione generano frammenti di RNA.
  6. Gli inserti di DNA virale hanno permesso, casualmente, di aiutare l’uomo regalandogli la possibilità di produrre enzimi e proteine utili alla propria sopravvivenza, per questo se ne trovano tracce nel nostro patrimonio genetico.
  7. I tamponi sono un sistema valido di rilevazione di tracce di DNA o RNA, così come lo é la RT-PCR per amplificarli, ma solo a scopo di ricerca (analisi di frammenti di DNA) o forense (analisi del DNA in omicidi, rapine, stupri, riconoscimento di paternità o maternità, ecc.). I tamponi non sono certo diagnostici per rilevare il SARS-CoV-2 in quanto, non essendo stato ancora isolato il virus, manca il famoso gold standard di riferimento. Finché ci affideremo ai tamponi e al CTS per uscire dall’emergenza e dalla pandemia andremo avanti per decenni, fino a quando non saremo vittime del sistema pur di salvarci da un pericolo divenuto inesistente.
  8. In medicina un “caso” non esiste se non esistono i sintomi, dunque un “asintomatico” non é un caso e la sua definizione di malato é solo clinica (anamnesi, visita del paziente, rilevazione dei parametri principali, …) e analitico / diagnostica (RMN, TC, RX, ECG, EEG, analisi del sangue o del liquor, …).
  9. Un asintomatico untore non esiste: un positivo asintomatico potrebbe essere affiancato alla vecchia definizione di “portatore sano”. Se dessimo credito ai tamponi, un asintomatico diverrebbe fonte di trasmissione SOLO SE la sua positività fosse rilevata da una PCR con pochissimi cicli, ad esempio 20 cicli. Una positività rilevata con 30 o più cicli indica una bassissima (o nulla) carica infettiva.
  10. Durante il 1° periodo emergenziale ai medici non era stato vietato di visitare i pazienti ma, come per le autopsie, era stato fortemente sconsigliato di farlo se privi di dispositivi di protezione individuale (DPI); si ricorda che, in piena emergenza, l’USL non aveva consegnato i DPI se non con colpevole ritardo e in quantità minime, mentre ora i DPI ci sono e se i medici non visitano è solo perché hanno paura e si affidano “a prescindere” al risultato del tamponeI medici di base, secondo il ben studiato protocollo contro la SARS valido dal 2003, sono il primo e più importante fronte d’arresto del virus – la nostra “linea Maginót” – e questa linea ha funzionato laddove i medici di base hanno continuato a visitare. Piuttosto, forse, stiamo assistendo a un generale lockdown della scienza.