Mentre in Germania si parla di una possibile riapertura delle scuole a maggio, in Italia gradualmente la “didattica dell’emergenza” a distanza potrebbe avviarsi a divenire in parte strutturale, visto il perdurare dell’emergenza.
E con la digitalizzazione della didattica presto potrebbero farsi avanti la concorrenza e il libero mercato dell’istruzione on-line su tutto il territorio nazionale, con la conseguente “lenta estinzione” del sistema scolastico italiano tradizionale.
Ipotesi opinabili, certamente.

In questi giorni la Normale di Pisa ha ideato un’iniziativa intitolata “La Normale va a scuola”, rendendosi disponibile a tenere lezioni a distanza per le classi liceali di tutta Italia: un percorso che rappresenterebbe una “nuova opportunità di crescita comune”, specifica la scuola di Pisa.

Anche “mamma RAI”, subito dopo Pasqua, realizzerà un programma in diretta che terrà impegnati gli studenti per ben 3 ore al giorno dal lunedì al venerdì, forse pensato per chi non ha i mezzi tecnologici necessari per fruire della “didattica a distanza”.

Poco importa che le scuole italiane abbiano già – nessuna esclusa – validi docenti che in questi giorni insegnano a distanza le medesime materie, ma forse un po’ di pubblicità non guasta e saranno gli stessi professori, genitori e alunni, qualora interessati, a scegliere se aderire o meno a queste iniziative non proprio “istituzionali” di “didattica dell’emergenza” a distanza.
Perché abbondare non fa mai male!
E che dire delle filantropiche piattaforme digitali – Google in primis – che si sono offerte gratuitamente (almeno per ora) di supportare le scuole nel processo di digitalizzazione? Per Google potrebbe trattarsi di una ghiotta occasione per raccogliere dati sul modus operandi dei docenti e chissà che in futuro non ci venga proposto di rimpiazzare gli insegnanti con l’uso di piattaforme educative accattivanti e ben progettate.
Recentemente anche Samsung ha deciso di offrire gratuitamente un kit che accompagnerà i docenti in un percorso che spiegherà loro come organizzare il “distance learning”, ma a nessuno pare sia venuto in mente che ciò potrebbe rappresentare una limitazione della libertà di insegnamento, intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. Perché proprio l’esercizio di tale libertà è l’unica condizione per promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione delle personalità degli alunni.
La Scuola dovrebbe operare soprattutto nel rispetto della minoranza, ed è questo che la rende diversa da un’azienda.
È davvero verso una gestione aziendalista che si sta dirigendo la nostra amata “vecchia” Scuola? Oppure possiamo stare tranquilli perché tutto tornerà presto alla normalità?
Una cosa è certa: i docenti delle scuole di ogni ordine e grado hanno difficoltà con la “didattica a distanza” perché in passato mai nessun insegnante dotato di un minimo di raziocinio aveva ritenuto opportuno investire in una tale tipologia di “didattica”, se non per supportare rari casi di ospedalizzazione dei loro studenti.
Qui non c’entra la presunta arretratezza degli operatori del settore scolastico in campo digitale, peraltro tutta da dimostrare! Il digitale rappresenta un valido supporto all’insegnamento, nessuno lo nega, ma le problematiche legate alla “didattica a distanza” sono intrinseche perché ciò che sta alla base della Scuola è la relazione educativa in presenza, con buona pace di chi sostiene che sia colpa della non competenza digitale se la “didattica dell’emergenza” a distanza non sta funzionando, alimentando una frustrazione generalizzata.
Proviamo a pensare allo studio di uno strumento musicale, all’apprendimento di una disciplina artistica o delle discipline “pratiche” in generale, poi facciamo un parallelo con tutte le altre materie: non è forse vero che la didattica in presenza rappresenta ancora l’unico modello di didattica efficace ed è probabilmente l’unica in grado di formare futuri cittadini dotati di senso critico?
Per non parlare degli alunni con bisogni educativi speciali e con disturbi specifici di apprendimento, che in questi giorni stanno vivendo sempre più drammaticamente la loro esperienza di segregazione forzata dall’ambiente scolastico.
Del resto pare non sia più possibile fermare quel graduale processo di industrializzazione della scuola pubblica già avviato nel 2015. La “didattica dell’emergenza” a distanza potrebbe favorire la nascita di un unico modello di insegnamento che – sempre ipoteticamente – potrebbe condurre gli studenti verso un unico “orwelliano” modo di apprendere, con buona pace di chi sperava di formare futuri cittadini dotati di senso critico.
Per “merito” della “didattica dell’emergenza” a distanza in futuro forse potremmo gradualmente ridurre il numero degli insegnanti, il che significherebbe una minor spesa per l’istruzione pubblica e più soldi per la sanità. E saremmo anche già pronti per la prossima pandemia, che avverrà esattamente tra 20 anni: l’ha predetto Bill Gates, il filantropo multimilionario e re del business che nel 2015 aveva già profetizzato l’attuale pandemia mondiale.
In conclusione, questo è un “addio” o un “arrivederci”, cara “vecchia” Scuola?
Prof. Matteo De Angelis